Created on 2019-01-15 15:57
Published on 2019-01-15 16:42
Published on Linkedin on January 14th, 2018 [2nd Draft]
Ritorna nelle notizie l'opinione di James Watson, premio Nobel e scopritore del DNA, che ormai 90enne ribadisce quello che già disse in passato: secondo lui, ci sarebbero evidenze nel DNA per asserire che i bianchi sarebbero più intelligenti dei neri. Scandalo!
Come Kant ci insegnò, gli scienziati descrivono la realtà secondo dei modelli che sono già nella loro mente e qui si inserisce la questione dei bias culturali (e.g. razzismo).
Ma supponiamo che si arrivi all'universale evidenza che vi sia una differenza fra quoziente intelletivo (Q.I.) in media fra bianchi e neri. Si tratterebbe comunque di medie statistiche. Perciò alcuni neri sarebbero comunque più intelligenti di alcuni bianchi e viceversa. Cioè come oggi, insomma.
Ma andiamo più nel profondo della cosa: il DNA definisce delle potenzialità misurabili e quindi una differenza. Sono meglio i processori RISC oppure quelli CISC? Dipende.
Ma come "dipende"? Ci deve essere una risposta per una domanda basata su fatti osservabili e misurabili. Dipende, sono due architetture complementari che danno il loro meglio in situazioni differenti.
L'unica certezza è che i razzisti sono molto meno intelligenti degli altri, IN MEDIA, ma la media non significa molto. Infatti uno di loro è riuscito a prendere il premio Nobel.
La Critica della Ragion Pura (titolo originale Kritik der reinen Vernunft) è l'opera maggiormente nota di Immanuel Kant. L'opera, pubblicata nel 1781, ed in seguito ampiamente rimaneggiata nella seconda edizione del 1787, è suddivisa in due parti.
Fonte: Wikipedia Italia
Kant riprese il concetto di rivoluzione copernicana per designare quel ribaltamento della prospettiva filosofica da lui stesso operato. Contrariamente al senso comune infatti, secondo cui l'uomo doveva adattare i propri schemi mentali agli oggetti da conoscere, Kant si propose di dimostrare che il nostro intelletto gioca un ruolo fortemente attivo nel metodo conoscitivo; le proposizioni scientifiche in grado di ampliare il nostro sapere sul mondo, cioè, non si limitano a recepire passivamente dei dati, ma sono di natura critica e deduttiva. Sono i nostri schemi mentali che determinano il modo in cui un oggetto viene percepito
Fonte: Wikipedia Italia
Mi entusiasma la domanda di Federico Razzoli:
una persona con lesioni al cervello o un vecchio che soffra di demenza senile dovrebbero avere meno diritti degli altri?
Perché estremizzandola ed estendendola ci porta a chiederci se un malato in coma vegetativo irreversibile, un feto o un embrione, un primate, un delfino, un cane, etc. abbiano meno diritti di altre forme di vita.
Così arriviamo a considerare il nostro punto di vista sull'aborto, sull'eutanasia, sulla vivisezione a scopo medico ma anche alle condizioni degli animali da allevamento per l'alimentazione, etc.
In definitiva, entriamo nel campo dell'etica a tutto tondo che se pur condivida alcuni fondamentali con la scienza non ha carattere di oggettività estrinseco.
Potremmo dire, in generale, che nel campo dell'etica, chi costruisce muri (dogmi) è un bigotto e quelli che tracciano delle linee di demarcazione, seppur in qualche misura arbitrarie ma comunque soggette a un equilibrio fra {diritti, doveri} e {disponibilità, necessità}, sia una persona ragionevole.
Da questo nasce la considerazione che il razzismo non è sbagliato ma inopportuno.
Il primo giudizio riguardo al razzismo, che sia sbagliato, è soggettivo (leggero, astratto). Mentre il secondo, che sia inopportuno, oggettivo (pesante, concreto), nel senso di cui sopra: la realtà definisce il peso, la rilevanza concreta.
Se ne conclude che Tizio ha diritto ad essere bigotto o razzista ma non ha diritto a farlo pesare sugli altri.
Per descrivere con un esempio concreto possiamo dire che Tizio asserisce che secondo lui è peccato mortale l'omosessualità e che ritiene i "non bianchi" razze inferiori MA poi si comporta in maniera *opportuna* quindi tollerando gli omosessuali e le persone di pelle non bianca PERCHÉ l'omosessualità non è una caratteristica dell'individuo ma un comportamento lecito e il colore della pelle è una variante con diverse sfumature e gradi di intensità PERCIÒ non pone un muro (dogma) sebbene nella sua interiore coscienza ponga delle linee di demarcazione che indicano la SUA PERSONALE zona di comfort.
Così ci riportiamo alle conclusioni dell'articolo "io e il cristianesimo" che sono diverse ma la più importante è, che vada bene tutto, purché non si rompa le scatole agli altri ovvero che sia necessario e sufficiente anche molto meno di amare il prossimo come se stessi: basta non rompergli le scatole.
Insomma bigotto e/o razzista è bello purché rimangano pensieri e comportamenti privi di effetti pratici (utopia). Oppure, rifrasando Woody Allen nella famosa citazione su Dio:
non ho nulla contro [dogma], è il suo fan club che non sopporto.
Dove per [dogma] s'intenda qualsiasi idea preconcetta.
Kant ci insegna che noi siamo contenitori di idee preconcette (pattern, bias cognitivi) e che cogliamo la realtà solo attraverso di questi concetti astratti (idee, dogmi).
Ma se prendiamo per buono il ragionamento etico per il quale ogni dogma – in quanto idea preconcetta non verificabile non confutabile e non modificabile – sia sterco otteniamo che siamo dei contenitori di sterco.
Tutto sommato sarebbe una buona cosa perché «dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior». Perciò ogni dogma è un diamante, immutabile e brillante ma sterile in quanto immutabile e rigido.
Se ne abbiamo qualcuno qui e là, piantati nella mente, poco male, soffriremo come se avessimo i calcoli ai reni ma continueremo a essere funzionali. Ma se abbiamo un solido diamante al posto del cervello è come se fossimo morti cognitivamente.
Un allegoria che spiegherebbe la forte correlazione fra {società inclusive} e {progresso / innovazione} VS {società bigotte} e {analfabetismo funzionale}.
[TODO: mettere link ad articolo in cui si commenta questa correlazione]
Un diamante solitario è bello ma è la parure intera che ci strangola sotto il suo peso che potremmo rifrasare nella seguente preghiera: «grazie Dio di esistere e di farti un intero universo di cavoli tuoi» oppure altrimenti detto: «non è l'assenza di Dio che mi preoccupa ma quelli che lo cercano continuamente».
Ah, no. L'immagine che volevo aggiungere era un'altra che diceva:
Dio ama gli atei perché si risolvono i problemi da soli.
Se Dio esistesse sarebbe uno sponsor dell'IKEA e da fisico è una delle poche cose di cui sono sufficientemente convinto perché è un dogma che non rompe le scatole. Se non c'è, non c'è e se c'è è come non ci fosse.
Ugualmente si può dire del razzismo: «non sono loro ad esser "negri" ma Tizio a vederli così». Così appare più chiaro dove stia il ragionamento di Kant nella gestione delle idee preconcette e della loro influenza sulla nostra percezione della realtà. Dove l'aggettivo nostra è da intendersi come la interpretò Cartesio: «cogito ergo sum, penso quindi esisto» che è da ritenersi corretta almeno sotto due punti di vista.
In definitiva, il bigotto o il razzista o il maschilista e qualunque -ista che viva in rigorosa coerenza con la sua ideologia sarà un prigioniero dedito a un affannosa ricerca di ostaggi. Brutta, brutta gente. Brutta dentro, cattiva fuori.
Quindi se ne conclude che la coerenza NON é un valore universale ma una metrica che talvolta porta a delle situazioni inopportune, nel senso sopra descritto.
Oppure, detto in altro modo: il problema non é chi racconta una barzelletta razzista o maschilista, il problema é chi l'ascolta e agisce coerentemente, cioè come se fosse una verità e non una barzalletta.
La difesa dei nazisti, in particolare dei graduati delle S.S., al processo di Norimberga era incentrata sul fatto che loro stessero eseguendo degli ordini, che fossero solo dei grigi e insignificanti burocrati, quindi ostaggi collaborativi di un sistema più grande di loro e perciò non potevano esserne ritenuti personalmente responsabili. Non erano cattivi, era il führer che li voleva così.
La ragion pura potrà avere delle pecche ma il sonno della ragione partorisce dei mostri.
C'è ancora un aspetto per nulla trascurabile. Prendiamo per esempio una filosofia di vita improntata al «vivi e lascia vivere».
Non basta. Non basta perché non viviamo isolati in cima al cucuzzolo di un'alta montagna. Viviamo in una società, partecipiamo alla società e quindi ne subiamo anche le idiosincrasie.
Non bisogna essere troppo magnanimi: «ama gli altri come te stesso» perché è possibile che l'altro abbia un concetto di amore diverso dal nostro, infatti la dottrina indica di "amare il prossimo", il simile, non l'altro, il diverso.
Bisogna essere più restrittivi ma non troppo restrittivi:
ama te stesso e rispetta gli altri.
Poiché amare se stessi implica anche non diventare ostaggi di una società distopica come, ad esempio, quella del terzo Reich occorre impegnarsi affinché anche gli altri, cioè i diversi da noi, siano rispettati.
Quindi occorre essere intolleranti con gli intolleranti perché altrimenti se si tollera troppo a lungo l'intolleranza ci si trova ostaggi di una società distopica.
Oh belin! Ma come si fa ad essere intolleranti con gli intolleranti e tolleranti con i tolleranti? Bisogna saper riconoscere la violenza che è implicita nell'intolleranza. Allora, diventa chiaro perché l'intolleranza non può essere tollerata.
Come nel caso dell'etica, la realtà concreta ci aiuta a stabilire in quale misura e su quali temi vale la pena esercitare il nostro libero arbitrio.
(C) 2019, Roberto A. Foglietta, testo licenziato sotto licenza Creative Common Attribution-NoDerivatives 4.0 International (CC BY-ND 4.0).