Il disvalore ipocrita della pietà

Created on 2017-11-04 16:33

Published on 2017-11-04 16:44

Published on November 4, 2017

C'è una sensibile differenza fra l'empatia e la compassione, fra la compassione e la pena.

L'empatia è percepire le emozioni altrui. La compassione è provare le emozioni altrui come proprie. Mentre provare pena per qualcuno significa, fondamentalmente, sminuirlo nella sua sfera emotiva e nella sua dignità.

Detto in termini più concreti ci sono più strcnzi fra coloro che praticano la pietà che fra gli altri perché la pietà è quel comportamento che si tiene per mettere una distanza fra noi e colui/lei che ci emoziona.

Un'emozione che ci fa sentirebbe sentire vulnerabili perché ci prende nel profondo. Invece, di avere il coraggio di un'azione o una parola utile, offriamo distrattamente un'orecchio oppure una spalla. Va benissimo, a volte, serve anche questo. 

La pietà, è una pessima scelta se si dovesse adottare come strategia dominante (o politica dominate) perché implica la sfiducia − prima ancora nell'altro − nella nostra capacità di essere incisivi. Più o meno come lo è la punizione.

In entrambi questi casi ci si pone al di sopra dell'altro e non a fianco, spesso con una profonda vena di ipocrisia nemmeno tanto velata. Il buonismo ne è l'accezione sociale.

Il buonismo è quel comportamento sociale per il quale non abbiamo più il coraggio di dire quello che pensiamo per non urtare qualcuno ma in realtà agiamo così perché non osiamo confrontarci direttamente con gli altri.

La città degli immortali

Ammaestrata da un esercizio di secoli, la repubblica degli Immortali aveva raggiunto la perfezione della tolleranza e quasi del disdegno. Essi sapevano che in un tempo infinito ad ogni uomo accadono tutte le cose. […] Nessuno è qualcuno, un solo uomo immortale è tutti gli uomini […]. Il concetto del mondo come sistema di precise compensazioni influì largamente sugl’Immortali. Prima di tutto, li rese invulnerabili alla pietà […]. Non c’è piacere più complesso del pensiero e ci abbandonavamo ad esso. A volte, uno stimolo straordinario ci restituiva al mondo fisico. Ma erano momenti rarissimi: tutti gl’Immortali erano capaci di quiete perfetta […].

–Jorge Luis Borges, L’Aleph

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