Innovazione: il controllo del cambiamento

Created on 2016-10-03 21:08

Published on 2016-10-04 08:23

Published on October 4, 2016

Il cambiamento

Il cambiamento accade, comunque, ma affinché esso sia un'innovazione ovvero una ricaduta positiva ed efficace occorrono quattro condizioni, in ordine casuale:

  1.  la qualità, intesa come la capacità del controllo del processo di delivery della value proposition;
  2.  l'eccellenza, intesa come la capacità di realizzazione degli elementi fondamentali del servizio o del prodotto;
  3.  la vision, intesa come la capacità di gestire i fattori importanti e non solo quelli urgenti o contingenti;
  4.  l'etica, intesa come la capacità di investire nella vision piuttosto che sul profitto a breve termine.

Quando manca anche una sola di queste condizioni, maggiore è l'accelerazione impartita dal cambiamento, maggiore è la probabilità che l'innovazione non si realizzi. Questo non significa che il cambiamento sia necessariamente negativo piuttosto fa emergere le lacune esattamente come avverrebbe ad un'auto di formula uno in curva che avesse un assetto sbilanciato. In un caso del genere, una volta impartita l'accelerazione poco importa avere dei buoni freni perché non saranno quelli che ci salveranno.

La struttura

La parte più delicata è che spesso il sistema azienda ha saputo compensare alle lacune adattandosi come farebbe una frana su parete scoscesa. Perciò anche un piccolo movimento scatena una reazione a catena. Questo è il motivo per cui in molte aziende vi è un'intrinseca resistenza al cambiamento, perché - al di là di fattori personali - vi è la consapevolezza della fragilità strutturale. Poiché il bicchiere mezzo vuoto può essere descritto anche come mezzo pieno, generalmente questo avviene sempre. Perciò spesso questa fragilità viene descritta come un successo dell'esercizio dell'equilibrio del vincere: non sia mai che sia mezzo vuoto!

L'equilibrio

Esistono almeno due dimensioni dell'equilibrio: statico o dinamico e stabile o instabile. 

Se la struttura dell'azienda o di una sua divisione aziendale ha un equilibrio dinamico e stabile ha la massima probabilità di gestire ogni cambiamento e di sfruttarlo per avanzare, quindi realizzare innovazioni. Diversamente se è statica e instabile allora molte delle sue energie saranno devolute a mantenere l'equilibrio piuttosto che avanzare.

Se mettiamo insieme questi due elementi vediamo come sia facile ignorare gli effetti dei processi cumulativi in quanto il sistema in equilibrio statico ma instabile rimane indifferente a queste sollecitazioni fintanto che esse non raggiungono la soglia di rottura. L'intervallo temporale, dal momento che si rilevano i primi effetti del processo cumulativo al raggiungimento della soglia di rottura, è troppo breve per poter reagire.

Quando si parla di massa critica per innescare un fenomeno, parliamo della stessa cosa ma in termini positivi. Osserviamo quindi che i medesimi processi di tipo cumulativo da un lato sono la chiave del disastro mentre dall'altro sono la chiave del successo, evidentemente la differenza del risultato risiede nella loro gestione.

Il controllo

In questo caso ci aiuta l'esempio della bicicletta che raggiunge un equilibrio stabile solo quando essa è in moto mentre risulta instabile quando è ferma. Ampliando l'esempio ad una discesa con una mountain-bike abbiamo un idea di come l'elasticità della conduzione sia la chiave dell'equilibrio e del controllo. Questo è abbastanza contro intuitivo perché di fronte a un tracciato scosceso si potrebbe pensare che sia il controllo fine (rigidità del sistema) a garantire il passaggio sicuro quando invece è esattamente il contrario: più fortemente si cerca di mantenere il grip, maggiori sono le probabilità di perdere il controllo e trovarsi sbalzati di sella.

Il controllo del cambiamento avviene creando un equilibrio stabile ma dinamico sulle quattro dimensioni aziendali sopra descritte. Questo avviene sempre ma può avvenire come adattamento passivo del sistema oppure come fattore di gestione attiva. Il punto fondamentale è che prima o poi avverrà un cambiamento che metterà in crisi il sistema e sarà in quel momento che la struttura dimostrerà la sua adeguatezza o meno. Quando il sistema è costituito da un'organizzazione di persone molto dipenderà dalla loro attitudine ad affrontare il cambiamento (a) agendo attivamente sulla realtà piuttosto che sulla (b) descrizione della stessa. Ma la capacità in (a) dipende dall'attitudine in (b).

L'azione

Noi tutti desideriamo che la realtà si adatti alla nostra volontà e abbiamo sempre due possibilità: (a) agire direttamente sulla realtà e (b) agire sulla sua descrizione. Entrambi queste azioni sono indispensabili e la chiave del successo rimane il principio cardine di falsificabilità ovvero scegliere la descrizione della realtà che ci aiuta a cambiare la realtà nelle sue manifestazioni fondamentali piuttosto che solo sugli effetti: (c) agire sulle cause invece che sui sintomi.

La nostra (a) attitudine a descrivere la realtà condiziona la nostra (b) modalità di intervenire sulla realtà. Questi due fattori determinano la nostra (c) capacità di agire efficacemente sulle cause piuttosto che lenire i sintomi.

La medicina d'emergenza è sempre il risultato di una mancata prevenzione ovvero di una mancata pianificazione e gestione del cambiamenti piccoli, continui e inesorabili che improvvisamente emergono in una manifestazione acuta.

I sintomi sono i nostri più fedeli alleati perché ci parlano del reale stato del sistema. Se la loro interpretazione e la nostra azione è volta a mascherarli, perderemo il controllo del sistema.

Se ci si abitua ad affrontare la realtà nella sua descrizione meno favorevole, quando invece sarà la realtà ad esserci sfavorevole, saremo adeguatamente preparati, perché quel giorno non ci sarà di alcuna utilità operare sulla sua descrizione, ne sui freni.

Il risultato

L'innovazione è esattamente questo: una manifestazione acuta della buona pianificazione e gestione dei cambiamenti quotidiani, esattamente come lo è l'emergenza per le stesse ma opposte ragioni.

Ogni cambiamento, anche il più piccolo, porta con se un intrinseco vantaggio ma anche il rischio di un disastro. Ciò non di meno chi evita di affrontare quotidianamente il rischio di un disastro, costruisce da se stesso la certezza del declino.

L'innovazione non è altro che questo: affrontare ogni giorno il rischio di un disastro.

Ogni giorno perché le gare si vincono in allenamento e si va alla competizione solo per ritirare il premio.

La gestione

Siamo abituati a pensare che (a) l'amministrazione richieda la profonda conoscenza degli strumenti relativi. Questo è vero se il contesto prevede cambiamenti lenti e facilmente prevedibili. In altre realtà molto dinamiche, come quella odierna, è dalla capacità di comprendere e agire su sistemi complessi che dipende la capacità di (b) gestione e controllo. L'azione può, indubbiamente, richiedere delle competenze specifiche ma esse sono una risorsa e sono uno strumento ovvero un mezzo per ottenere un fine. Quindi l'attenzione si sposta sulle modalità decisionali.

Questo significa, che in contesti turbolenti e quando si parla di cambiamenti e innovazione, (b) la gestione e il controllo e (a) l'amministrazione sono due ambiti separati e la loro relazione s'inverte rispetto alla consuetudine. In realtà questa inversione non è contestuale ma causale - ovvero ripristina il naturale ordine delle cose - il fatto che l'abitudine sia diversa è perché essa si è sviluppata in un contesto nel quale la relazione fra (a) e (b) non era determinante ai fini pratici quindi fra le due capacità ha prevalso quella più facilmente misurabile (a) che ha assorbito l'altra (b).

La leadership e il consenso

In altri termini siamo abituati a pensare alla leadership, alla politica e al consenso come tre elementi di un'unica figura. Il leader attraverso la politica raccoglie il consenso per dare l'impulso a un'azione. Anche questo è un modello concettuale simile a quello sopra esposto e presenta gli stessi limiti. La leadership è (b) la capacità di agire in una specifica direzione a prescindere dal consenso. La politica è (a) lo strumento per formare e gestire il consenso.

In contesti quasi statici la capacità d'azione in tempi brevi non è rilevante rispetto alla capacità d'azione concordata e d'altra parte la raccolta del consenso è un'operazione che ha tempi lunghi rispetto all'azione di direzione. Il vantaggio del consenso è che se la direzione risultasse sbagliata, la responsabilità sarebbe distribuita su un ampio numero di ruoli. Dalla diluizione della responsabilità dipende l'irrilevanza a lungo periodo del risultato. In teoria la politica dovrebbe raccogliere il consenso sulla pianificazione di lunga durata e la leadership sull'azione di breve periodo. Nella realtà si verifica che la politica essendo condizionata dal consenso è condizionata dagli interessi contestuali mentre la leadership d'azione non presenta questo limite.

Il modello direzionale

Se prendessimo alla lettera quanto sopra saremmo propensi a superare i limiti affidandoci a una leadership che in essa concentri sia la direzione che l'azione accettando, in contesti turbolenti, di sostituire un rischio ingestibile con un altro rischio ingestibile ma il risk management non prevede questo.

Il risk management corretto è quello che sostituisce un rischio ingestibile con un costo gestibile. Questo finora è avvenuto con il compromesso della leadership politica ma se vogliamo superare questo modello occorre procedere verso qualcosa di più efficace e non tornare indietro. In questo contesto diventa rilevante il concetto di esploratore.

L'innovazione è un processo che deve essere integrato nel processo aziendale ma non può essere integrato nel modello direzionale tradizionale.

Se affianchiamo al modello tradizionale quello dell'esplorazione è facile giungere ad un risultato abbastanza conservativo: le aziende hanno sviluppato le divisioni di ricerca e sviluppo come funzione di esplorazione rispetto alla produzione ma le divisioni R&D hanno raggiunto dimensioni tali da rientrare nel modello direzionale tradizionale perdendo di fatto molto della loro capacità innovativa.

D'altronde se creassimo la divisione di ricerca sperimentale (esplorazione) a supporto di R&D a supporto della produzione otterremmo come conseguenza un'ulteriore allungamento dei tempi di intervento dell'innovazione e di fatto annullandone il maggiore vantaggio concorrenziale che è legato alla capacità di agire a breve per conquistare un vantaggio competitivo sul lungo periodo.

Quindi estendere il modello tradizionale non comporta vantaggi ulteriori rispetto alla tradizionale pianificazione di progetti a breve e a lungo termine.

L'organigramma

Se osserviamo un organigramma tipico di un'azienda non avremo difficoltà a comprendere che la struttura del flusso delle informazioni ricalca quello dei canali direzionali (avanti: direzione, indietro: informazione).

L'area in giallo è quella d'intervento dell'innovazione.

Ad esempio significa che fra la divisione R&D e il CDA vi sono almeno tre passaggi così come fra il M&S e l'R&D ci sono altri tre passaggi.

Quanti di voi prenderebbero decisioni importanti basate su informazioni di terza mano?

Se l'innovazione agisce secondo politica, i tempi necessari alla raccolta del consenso sono tali per i quali l'innovazione diventa inefficace. Se l'innovazione agisce secondo il modello della leadership è evidente che la struttura direzionale dovrà confrontarsi con un modello antagonista perché è abbastanza ragionevole che l'informazione, la sua descrizione e la sua interpretazione produrrà due diversi scenari a seconda che essa sia stata presentata dall'innovazione o filtrata attraverso la struttura direzionale.

Il flusso informativo

Questo fenomeno di dissonanza percettiva avviene a prescindere dall'eccellenza della direzione e dalla correttezza dell'informazione trattata. Avviene perché è fisiologico che avvenga: perché anche il medesimo quadro informativo attraversa un processo di elaborazione differente. Se non avvenisse e l'innovazione riportasse sempre uno scenario coerente con quello della struttura direzionale, l'innovazione sarebbe inutile.

Capiamo facilmente quanto sia difficile integrare l'innovazione in una struttura e in un processo aziendale rigidi nei quali anche la più piccola dissonanza verrebbe percepita come un problema e non come un'opportunità. Perciò il primo intervento indispensabile è quello di rendere la struttura e il processo molto più elastici. L'elasticità è proprio quella caratteristica che ci permette di trovare l'equilibrio dinamico, stabile anche perché dinamico, fra le quattro dimensioni che sono gli elementi essenziali del successo.

L'elasticità

Nel momento stesso che l'innovazione evidenziasse una lacuna in uno di quei quattro fattori e l'azienda rispondesse con la rigidità della struttura è ovvio che la lacuna non sarà ne affrontata ne gestita correttamente.

Ma lo scopo dell'innovazione non è quello di contestare la direzione piuttosto è quello di fornirle uno scenario, certamente più challenging (stimolante vs sfidante), ma anche più utile per attivare le azioni appropriate.

Il bicchiere mezzo pieno e il bicchiere mezzo vuoto non sono due diverse informazioni ma due diversi punti di vista ed entrambi sono indispensabili per il successo perché occorre lavorare su entrambi gli aspetti: ciò che abbiamo e ciò che ci manca.

Per questo ci vuole coraggio a fare innovazione, non solo perché ogni cambiamento è a rischio di disastro, ma anche perché ogni atto innovativo parte dalla presentazione di uno scenario migliorabile. L'innovazione non è necessariamente l'invenzione di qualcosa piuttosto è l'integrazione di un cambiamento (stimolo) all'interno di un contesto già consolidato (struttura, prodotto, servizio, processo, etc.) ma non definitivo (elasticità).

L'adattabilità

In generale si parla di adattabilità ma questa caratteristica finisce per essere un soft-skill da ricercare e sviluppare nel personale. Il problema è che le persone che si adattano facilmente sono propense a gestire un cambiamento ma sono anche quelle meno adatte a gestire un'innovazione.

Ero colto e volevo cambiare il mondo, ora sono saggio e cambio me stesso. Solo le persone così pazze da pensare di cambiare il mondo riescono nel tentativo.

La differenza fra adattabilità e yes-men è molto sottile (poco misurabile) ma decisamente rilevante: nel primo caso non s'incontrano resistenze ma non si trasmette la direzione, le persone si adattano, si flettono e assorbono il cambiamento senza attuarlo mentre nel secondo caso - inoltre - si ascolta l'eco di se stessi.

Perciò a dispetto della teoria, in pratica, l'adattabilità del personale finisce per compensare la rigidità della struttura. Perciò le aziende finiscono per avere personale flessibile ma strutture rigide quando dovrebbero avere personale resiliente e una struttura elastica. Passare da un modello/struttura ad un altro non è cosa che si possa fare facilmente. Questo significa che occorre passare attraverso un modello ibrido.

Conclusione

Dobbiamo distinguere due diversi elementi: il fare innovazione (esplorazione) e la gestione del cambiamento (innovazione). Sembra un gioco di parole ma il concetto fondamentale è che solo il prodotto dell'innovazione può essere integrato nel processo aziendale non la funzione d'innovazione. Il ruolo dell'innovatore può (e dovrebbe) essere istituzionalizzato. La pratica dell'innovazione può (e dovrebbe) essere metodologica. Ma il processo d'innovazione non può essere integrato nella struttura direzionale e quindi qualcos'altro deve essere incluso nel processo aziendale.

Per il controllo dell'innovazione e quindi la gestione efficace del cambiamento è essenziale sviluppare una struttura aziendale elastica affiancando, al normale flusso informativo e al tradizionale organigramma direzionale, un'attività di esplorazione con un'area di intervento globale. L'elasticità è quel qualcosa che deve essere integrato nella struttura e nel processo aziendali affinché l'innovazione possa essere efficace.

D'altronde la misura dell'innovazione è il miglioramento che siamo in grado di fare rispetto a quello che eravamo. Senza l'elasticità di mettersi in gioco è difficile pensare di potersi migliorare. Senza un approccio sistemico quindi un'area di intervento globale è difficile pensare che un singolo cambiamento possa avere un'impatto positivo sul risultato complessivo. Se insistiamo a pensare che il nostro cliente desidera un cavallo più veloce non potremo mai fornirgli un'automobile. C'è sempre una dimensione per la quale l'innovazione rompe con il passato. Questo è pacifico. Perciò ci vuole elasticità perché altrimenti quella rottura non può trasformarsi in un'occasione di miglioramento.

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(C) 2016, Roberto A. Foglietta, testo licenziato con Creative Common Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 3.0 Italia (CC BY-NC-SA 3.0 IT).