La cartolarizzazione del lavoratore

Created on 2017-10-27 09:48

Published on 2017-10-27 11:07

Published on October 27, 2017 con appendice del 16 gennaio 2018

Introduzione

Il caso che fa emergere una realtà nascosta parte da un articolo della stampa web a cura de "Il Germe" si legge in data 26 ottobre 2017.

Assunta senza saperlo, sorpresa nel resort fallito.

Di essere stata dipendente per due anni e mezzo dello [...] Resort di Raiano, lo ha scoperto solo ieri, quando si è recata all'ufficio di collocamento per certificare la data della sua iscrizione e verificare se il suo futuro datore di lavoro avrebbe potuto usufruire di eventuali sgravi fiscali.

Liana Moca, quarantasei anni di Sulmona, però, nell'albergo a quattro stelle, fallito un mesetto fa, non aveva mai messo piede. Tantomeno dal suo amministratore, [...], aveva mai ricevuto uno stipendio e, ha scoperto dopo, neanche il versamento di un contributo all’INPS.

Eppure sulla carta, quella del collocamento, risulta assunta a tempo pieno e indeterminato dal 31 maggio del 2014 al 31 ottobre del 2016.

−Fonte: www.ilgerme.it

La pratica è più diffusa di quanto si pensi

Infatti la cartolarizzazione del lavoratore ovvero del suo Curriculum Vitae rappresenta un grande affare. Appare immediatamente chiaro che chi porti avanti questa pratica non sia allineato con la proprietà dell'attività (management infedele) oppure la proprietà abbia interesse a far figurare una dimensione aziendale (numero di dipendenti, qualità dei dipendenti, etc.) affinché possa accedere a gare, appalti o finanziamenti.

Perciò questa pratica porta due principali vantaggi a chi la mette in atto:

  1. quello di stornare risorse all'azienda con un lavoratore fittizio che rappresenta una voce di spesa mensile e a seconda dei casi, inclusi i contributi pensionistici e/o le ritenute d'acconto a seconda del regime che può anche essere di partita IVA.
  2. quello di poter accedere a dei vantaggi indebiti.

Per la società questa pratica ha due aspetti negativi, quindi i relativi costi:

  1. il lavorato impazzisce per trovare lavoro ma non lo trova perché chiunque lo assuma o lo prenda a contratto si metterebbe contro coloro che lo hanno cartolarizzato e nella situazione attuale del mercato del lavoro in Italia, c'è abbondanza di scelta, non vale la pena correre rischi. Se lo trova dovrà essere abbastanza qualificato che chi lo assume o lo prende a contratto possa stornare una parte della sua retribuzione per compensare chi lo ha precedentemente cartolarizzato. In entrambi questi scenari a pagare è il lavoratore che resta disoccupato oppure sottopagato, il classico in Italia.
  2. il flusso di cassa così stornato dall'azienda verrà riempiegato per attività probabilmente illecite o comunque che non avrebbero potuto avere un budget ufficiale (operazioni sotto copertura), per attività politiche, di concorrenza sleale, spionaggio, reciclato in altre attività e/o esportato all'estero. Oppure semplicemente perché in questo modo si può assumere un raccomandato incapace o non qualificato che possa però prendere il posto di un lavoratore senior (incoming switching) quindi ottenendo nella pratica uno scambio di retribuzione.

La gestione del capitale umano, bistrattata

L'uso di questa pratica è compatibile con la dizione "Risorse Umane" (Human Resources) perché se le persone sono risorse allora è normale sfruttarle e anche cartolarizzarle. In pratica così come si fa per una miniera di rame, l'estrazione del rame è un diritto di sfruttamento, conseguentemente sulla materia prima il mercato effettua una cartolarizzazione (contratti future, polizze prezzo) che a sua volta diventa un mercato di secondo livello detto dei derivati.

I signori del lavoro

In questo scenario la valorizzazione della persona, quindi del capitale umano, ha poca importanza in quanto ciò che vale è il suo Curriculum Vitae e quello che sa fare oppure può imparare a fare è abbastanza minoritario rispetto al mercato cartolare. Detto in altri termini:

La speculazione sulla cartolarizzazione della risorsa umana costituisce un mercato di scambi d'interessi superiori a quelli dello sviluppo del capitale umano che invece implica l'etica della sostenibilità del percorso di vita e di carriera.

In parole più semplici, il cartellino di un calciatore vale del buon denaro anche se resta in panchina. A decidere chi resta in panchina sono i signori del lavoro, non le aziende, non le loro proprietà oppure gli investitori.

Il capitalismo moderno è più umano

Le aziende avrebbero interesse alla meritocrazia. Si potrebbe obbiettare che potrebbero essere meno interessate al costo della sostenibilità dell'equilibrio fra la qualità di vita rispetto alla qualità del lavoro, ma anche su questo aspetto grandi aziende statunitensi e europee di enorme successo, hanno constato che dipendenti felici risultino più brillanti, più dediti e capaci di produrre ricchezza per l'azienda.

Duemila anni di storia

Gli imprenditori intelligenti hanno capito che valorizzare il capitale umano è sul medio-lungo periodo la strategia vincente. Lo avevano capito anche gli antichi romani che prediligevano un esercito di cittadini rispetto a eserciti di mercenari.

Quando giunsero ad espandere l'impero così ampiamente da dover ricorrere ai mercenari ad essi era dato in premio per il servizio militare, non solo il solario (così detto perché pagato in sale, una materia prima facilmente barattabile e con ottima granularità di transazione), ma anche la cittadinanza romana e possedimenti terrieri da cui nacque l'usufrutto per necessità di scorporare la proprietà dall'uso affinché il militare dispacciato potesse affittare le sue terre a chi le avrebbe coltivate in sua assenza e aumentando l'utile per la società nel suo complesso che avrebbe avuto detrimento dal lasciare braccia sfaticate e terre incolte che avrebbero potuto diventare paludi o sterili.

La schiavitù moderna e quella antica

La schiavitù ha assunto diverse forme nell'arco della storia umana, alcune brutali e inumane mentre altre erano equivalenti al nostro moderno concetto di dipendente di un'azienda illuminata.

C'è infatti un enorme differenza di civiltà fra lo schiavismo dei campi di cotone dove l'essere umano era ridotto alla condizione di animale senza nemmeno il diritto di sposarsi e di disporre del suo corpo o della sua prole rispetto alla schiavitù dei patrizi romani che prendevano presso le loro case personale di servizio, che veniva istruito finanche a essere più letterato del padrone stesso, a cui venivano assegnati compiti anche importanti e delicati, a cui era concesso di sposarsi, avere una famiglia e godeva delle cure mediche, al pari di quello che oggi considereremmo un dipendente, appunto.

La schiavitù non la fanno gli strumenti, la esercitano gli uomini su altri uomini.

Perciò il concetto di cartolarizzazione del lavoratore non è un concetto moderno è antico come l'uomo, il contratto dipendente o quello che si stipula con un libero professionista è una cartolarizzazione, cioè la formalizzazione con esplicita valutazione, di un bene sottostante ovvero la capacità di produrre lavoro e quindi ricchezza.

Conclusione

Lo sfruttamento del lavoratore era una dimensione descritta da Karl Marx nel suo libro "Il Capitale" riferita all'epoca della prima industrializzazione. Il capitalismo moderno non ha più bisogno di braccia ma di cervelli.

Inoltre, mentre si può costringere un uomo a fare un'attività manuale non esiste alcuna possibilità di costringerlo a fare un'attività intellettuale che vada nell'interesse di chi lo sfrutta. Se non altro per istinto di reciprocità [¹], chi percepisce di essere inserito in un ambiente di lavoro negativo, non lavorerà per lo stipendio con lo stesso entusiasmo con cui lavorerebbe se si sentisse parte di qualcosa di più grande, un progetto, una visione, un futuro concreto.

La parola chiave "engagement" non è altro che uno dei tanti risultati positivi che si ottiene passando dall'approccio della gestione delle risorse umane a quella della gestione del capitale umano.

Appendice

Riguardo alla depenalizzazione del falso in scrittura privata che sottende alla cartolarizzazione del lavoratore si noti che 

L’aspetto di maggiore interesse del D.Lgs. 7/2016 consiste nella trasformazione dei reati abrogati in illeciti civili sottoposti a sanzioni pecuniarie. Le fattispecie previste nelle norme penali abrogate, riprodotte nell’art. 4 del decreto, costituiscono ora fatti che, se dolosi, obbligano, oltre che alle restituzioni e al risarcimento del danno secondo le leggi civili, anche al pagamento della sanzione pecuniaria civile determinata dal giudice in forza dei criteri indicati all’art. 5 D.Lgs. 7/2016. [...] Gli artt. 6 e 7 del decreto regolano i casi di reiterazione dell’illecito ([...]) e di concorso di persone, e in tal caso ogni concorrente soggiace alla sanzione pecuniaria civile stabilita per il fatto commesso.

–Fonte: laleggepertutti.it

Invece per quanto riguarda i reati previsti nell'ambito dei rapporti di lavoro ha provveduto il decreto immediatamente successivo alla depenalizzazione

Il decreto legislativo delegato n. 8 del 2016 disciplina gli effetti della depenalizzazione dei reati in materia di lavoro e di previdenza sociale trasformati in illeciti amministrativi. Il decreto legislativo, in vigore dal 6 febbraio 2016, individua, infatti, specifiche misure per quanto attiene alle conseguenze sanzionatorie riguardanti i reati già accertati e oggetto di procedimento penale, oltre ad indicare le modalità applicative delle nuove sanzioni amministrative. La depenalizzazione si applica anche nei riguardi delle condotte illecite poste in essere prima dell’entrata in vigore del decreto, a condizione che il relativo procedimento penale non sia ancora stato definito con sentenza o con decreto irrevocabili.

–Fonte: ipsoa.it

Inutile sottolineare che entrambi i decreti appaiano in evidente contrasto con quelli che sono i principi costituzionali e quindi a rischio di nullità fin dall'inizio.

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(C) 2017, Roberto A. Foglietta, testo licenziato con Creative Common Attribuzione, Non commerciale, Condividi allo stesso modo, versione 3.0, Italia (CC BY-NC-SA 3.0 IT).

Note

[¹] L'istinto alla reciprocità o etica della reciprocità è considerata la regola d'oro dei rapporti umani e famoso è il lavoro dello psicologo statunitense Robert Cialdini che individua proprio in questa e in altre regole i fondamentali della persuasione, quindi del marketing, delle vendite e anche dell'engagement aziendale. La realtà, però, è che si può ingannare tutti per qualche tempo e alcuni per tutto il tempo, ma non si può ingannare tutti per tutto il tempo (cit. Abraham Lincoln). Sull'arte dell'inganno hanno scritto invece Nicolò Macchiavelli nel "Il Principe", Sun Tzu nel "L'arte della Guerra" e Arthur Schopenhauer nel "L'arte di ottenere ragione". Ma se non bastasse Lincoln, anche Carlo Collodi ci ha invece insegnato in "Pinocchio" che le bugie hanno le gambe corte e prima o poi la realtà presenterà il conto. Questo conto si può quantizzare mediante un indice detto TCMO che ricalca un concetto il "Total Cost of a Mistake Ownership" ovvero più a lungo la racconti, più lungo sarà il conto da pagare.